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Cambia il Decreto Trasparenza suscitando reazioni contrastanti da parte dei vari commentatori.
Tuttavia, prima di prendere una posizione, appare opportuno analizzare la norma interpretandola alla luce degli intenti del legislatore e, soprattutto, alla luce dell’ordinamento nel suo complesso.
Iniziamo col dire che il Decreto in questione è una norma nata male, molto male. Non a caso, sono stati necessari interventi da più parti per specificare bene a quali casistiche si applicava la norma e a quali no.
Per capirci, la precedente versione, risultava così incerta da spingere alcuni consulenti a ritenere attivabili le formalità di cui al Decreto, anche in caso di utilizzo di suite come quella di Microsoft 365 o anche solo di taluni sistemi di posta elettronica, svuotando di fatto la ratio della norma in esame.
Ma al di là di questo, è innegabile che il Decreto Trasparenza sia l’ennesimo tentativo del legislatore italiano di normare un qualcosa di già normato a livello UE, creando ulteriori problemi di coordinazione tra le fonti che, teoricamente, dovrebbero essere coordinate ma che, in realtà, soprattutto nel caso di specie, finiscono per sovrapporsi creando un disordine difficilmente dissipabile.
Così, in questo scenario, il Decreto e la sua successiva modifica, prestano il fianco a facili strumentalizzazioni di ogni parte politica. Da un lato diventa il vessillo di chi pretende di poter controllare i dipendenti, dall’altro, diventa uno smacco ai diritti dei più deboli. Entrambe le interpretazioni sono ugualmente legittime se valutate sulla base dei valori di chi le porta avanti. Tuttavia, è necessario dire una verità: la modifica al Decreto Trasparenza, non nasce né (come vorrebbero alcuni) per difendere il datore né (come vorrebbero altri) per controllare i più deboli.
La modifica al Decreto nasce dal fatto che la prima versione era scritta male e quindi il legislatore ha tentato di rimediare, mettendo tuttavia “una pezza peggiore del buco”, volendo usare un noto proverbio.
Che poi questa “pezza” possa generare distorsioni e, quindi, essere strumentalizzata per fini poco etici, è circostanza evidentemente pacifica. Ma, spogliandoci delle istanze politiche, non possiamo che commentare la norma per quello che è: una norma nata male.
Pochi tra coloro che commentano la norma, sanno che in realtà il Decreto Trasparenza (decreto legislativo n. 104/2022) ha recepito nell’ordinamento interno la direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.
Questa direttiva non cita in alcun passaggio né la parola “automatizzato” né la parola “profilazione”. Questo è un dato importante specie se letto alla luce del considerando 47 della Direttiva il quale recita
“La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime, lasciando così impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli”.
È quindi presumibile che il legislatore italiano sia stato mosso inizialmente da un intento condivisibile, finalizzato a creare una tutela ancora più ampia rispetto a quella europea.
Purtroppo, però, il risultato è stato disastroso.
L’articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997, inserito dall’articolo 4, lett. b), del d.lgs. n. 104/2022, prevede difatti una serie di obblighi informativi nel caso in cui il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.
In particolare, il comma 1 nella versione originale affermava:
Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Dalla lettura della disposizione possono individuarsi due distinte ipotesi che il decreto ha voluto regolare per gli aspetti informativi, qualora il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati che siano:
Il problema maggiore, fin da subito, è stato comprendere che cosa si intendesse con “sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”.
Per capirci, l’utilizzo di badge elettronici è un sistema di monitoraggio che entra negli obblighi del Decreto? L’utilizzo di sistemi (anche banali) che monitorano automaticamente se il dipendente è attivo o meno, rientra nel Decreto?
A questi dubbi si è cercato di dare risposta con interpretazione autorevole della Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 19/2022, la quale ha escluso l’obbligo informativo nel caso di utilizzo di badge, ovvero di strumenti automatizzati per la rilevazione delle presenze dei dipendenti in entrata o in uscita, sempre che tale registrazione non generi automaticamente una decisione datoriale, mentre, a titolo puramente esemplificativo ma non esaustivo, ha previsto tale obbligo nel caso di utilizzo di sistemi automatizzati di gestione dei turni, di determinazione della retribuzione, di tablet, GPS, wearables e altro.
In tal senso è quindi da ritenere che GIA’ NELLA PRIMA VERSIONE della norma, il legislatore italiano avesse inteso regolare i soli sistemi totalmente automatizzati.
Non a caso, sempre la Circolare 19 precisa che:
“l’obbligo dell’informativa sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio”.
Tuttavia, una cosa è l’interpretazione e altro è il dettato normativo che, invece, questa precisazione non la conteneva. Di conseguenza ancora molti erano i dubbi da parte dei giuristi e consulenti del lavoro chiamati ad applicare il Decreto.
Ciò ha spinto con molta probabilità il legislatore a prendere una posizione netta (già presa in fase interpretativa dall’esecutivo, che poi è lo stesso soggetto ad aver scritto la norma trattandosi di un Decreto) precisando che gli obblighi in più si applicano solo in caso di decisioni totalmente automatizzate.
Il nuovo articolo precisa infatti che nulla esclude l’applicabilità del corollario riportato nella circolare 19 il quale prevede che gli adempimenti in questione si applichino anche in caso di intervento meramente accessorio. Su questo si batteranno gli interpreti con molta probabilità.
La recente riforma, risolve così molti problemi per chi ha cercato di applicare la norma nei passati 6 mesi, ma ne crea altri. Mentre prima avevamo solo una interpretazione autorevole, necessariamente lacunosa per forza di cose, ora abbiamo una chiara definizione legislativa che permette di applicare la norma con chiarezza.
Alla luce delle ripercorse vicende, è evidente che sbaglia chi cerca di strumentalizzare la riforma del decreto trasparenze e ciò in quanto, se esiste un problema, non è da rinvenirsi nella riforma ma nel decreto originario che, già ab origine aveva l’intenzione di colpire i soli sistemi interamente automatizzati.
E chiaro che gli adempimenti stringenti del Decreto Trasparenza siano applicabili solo nei casi di sistemi totalmente automatizzati. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che allora nei confronti degli altri lavoratori non ci siano tutele.
Ciò, in primis, deriva dal fatto che il Decreto Trasparenza, va ben oltre la Direttiva Europea da cui trae origine, disciplinando fattispecie che la Direttiva non disciplinava (in particolare, gli obblighi informativi in caso di sistemi automatizzati). Di conseguenza a tutti gli altri lavoratori si applicheranno gli altri obblighi informativi di cui alla Direttiva così come recepita in Italia anche per chi non è soggetto a controlli automatizzati.
Non solo, come dicevamo all’inizio, il Decreto Trasparenza, è comunque una norma scritta male, che si sovrappone (specie nella parte sui sistemi automatizzati) a tutta una serie di obblighi già presenti nell’ordinamento italiano ed europeo.
Anche per questo, anche per i lavoratori a cui non si applicherà l’art 1 bis sopra riportato, si applicherà comunque l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, il quale vieta la sorveglianza sui lavoratori salvo presenza di accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Non solo, anche il GDPR interverrà a favore dei lavoratori esclusi dagli obblighi stringenti di cui all’art 1 bis in caso di uso di sistemi automatizzati.
Il Regolamento sulla Protezione dei Dati, difatti, prevede stringenti obblighi informativi e di trasparenza tra cui quelli previsti dall’art 22 GDPR il quale recita:”l‘interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.
In particolare, il Regolamento ci ricorda che la profilazione è: “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica.
Sul punto, si osserva che sarebbe quindi sbagliato ritenere che l’art. 22 si applichi solo ai sistemi totalmente automatizzati e ciò in quanto, proprio EDPB, nelle linee guida sui processi decisionali automatizzati ci ricorda: “L’articolo 4, paragrafo 4, fa riferimento a “qualsiasi forma di trattamento automatizzato” piuttosto che al “solo” trattamento automatizzato (di cui all’articolo 22). La profilazione deve comportare una qualche forma di elaborazione automatizzata, anche se il coinvolgimento umano non esclude necessariamente l’attività dalla definizione”.
In questo modo, dal combinato disposto delle norme sopra riportate, e di altre che qui non possiamo evidentemente analizzare per motivi di spazio, possiamo ritenere che ciò che è restato escluso dalla modifica al Decreto Trasparenza viene comunque tutelato dal combinato disposto delle normative comunitarie con quelle italiane a tutela dei lavoratori e degli interessati in senso ampio.
In conclusione, è chiaro che il Decreto Trasparenza doveva essere pensato e scritto meglio sin dall’origine, tuttavia, è altrettanto sbagliato far passare il messaggio che nessuna tutela è quindi prevista per chi non rientra in tale Decreto. Di certo c’è che quantomeno la riforma ha eliminato i dubbi applicativi semplificando la applicazione della norma, seppur tutto ciò evidenzi ancora una volta la bassa conoscenza del diritto europeo da parte del legislatore italiano, la cui condotta potrebbe lasciare quasi intendere che sia per egli preferibile creare norme nuove piuttosto che applicare quelle già esistenti.
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